L’implantologia è una branca chirurgica dell’odontoiatria. Si fonda sul concetto di osseointegrazione, ovvero dell’integrazione tra l’osso dei pazienti e le viti di titanio necessarie per ripristinare la dentatura.
Proprio questa unione intima tra le parti permette di riabilitare la bocca e ripristinare una corretta masticazione con una dentatura fissa.
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Come nasce l’implantologia dentale?
L’implantologia nasce in Svezia, a Göteborg, grazie agli studi del professor Ingvar Branemark.
Branemark è stato uno dei padri fondatori dell’implantologia moderna e scientifica. Era un professore di anatomia dell’Università di Göteborg e si dedicava allo studio del flusso sanguigno all’interno delle ossa lunghe.
Negli anni ‘50 ha iniziato a eseguire una lunga serie di studi sperimentali e clinici su modelli animali.
Come tante scoperte nel mondo della medicina, anche la sua scoperta più importante fu del tutto casuale.
Stava usando il titanio in un esperimento con ossa animali quando si accorse che dopo otto, nove mesi non era più possibile staccare lo strumento di titanio dall’osso dell’animale.
Così comprese l’intima unione che si creava tra il metallo e l’osso. Il concetto di integrazione come intima adesione tra titanio e osso, anche nel caso umano, fu una naturale conseguenza.
Branemark: pioniere dell’osseointegrazione
Questa deduzione fu solo l’inizio del cammino fino all’implantologia moderna.
A quel punto, infatti, il professor Branemark formulò una definizione per l’osseointegrazione e ampliò le sue ricerche con una lunga serie di studi clinici su l’umano e su modelli animali.
Bisognerà aspettare fino al 1965 per il trattamento sul primo paziente. La signora Larsson aveva un problema di labio palatoschisi e per risolverlo fu sfruttato proprio un impianto palatale per otturare il palato stesso.
La signora è venuta a mancare nel 2004 e, dopo 45 anni di attività, gli impianti erano ancora perfettamente funzionanti.
Nel 1982 Branemark, al Toronto OsseoIntegration Conference, presentò a tutto il mondo scientifico e accademico i risultati delle sue ricerche. Si trattava dei risultati sulla durata degli impianti per pazienti totalmente edentuli, per i quali a 15 anni di distanza si aveva una riuscita del 95%.
Parte della grande influenza che Branemark ha avuto in questo settore è dovuta anche al suo dipartimento chiamato Biomaterials and handicap research.
Le linee di ricerca nate dal suo team ebbero due direzioni:
- implantologia moderna
- ortopedia moderna.
Tutte le protesi che oggigiorno ci permettono di camminare, come ad esempio le protesi all’anca o al ginocchio, derivano dalle ricerche del professor Branemark.
Per queste ragioni fu proposto anche per il premio Nobel, anche se non gli fu mai assegnato.
Crescita e sviluppo dell’implantologia
Un’altra figura di spicco per l’implantologia è il professor André Schroeder dell’Università di Berna.
In parallelo a Branemark, anche se con un ritardo di una decina di anni, aveva sviluppato un concetto, sempre basato sull’uso dell’osseointegrazione, che ha portato all’avvio di una serie lunghissima di ricerche e di innovazioni in termini di modifica della forma e delle superfici degli impianti.
Le caratteristiche dell’implantologia moderna
Schroeder, Branemark e tutti coloro che hanno collaborato a queste incredibili scoperte e studi, diffondendo nel mondo questo concetto di integrazione, hanno fatto sì che oggigiorno l’implantologia sia un trattamento con un altissimo grado di predicibilità e una fantastica opzione terapeutica.
L’implantologia ci permette di:
- sostituire denti estratti e riabilitare pazienti edentuli evitando le protesi mobili
- introdurre elementi parziali evitando di dover limare denti sani e usando un trattamento biologicamente meno invasivo.
Quali sono le complicazioni di un intervento di implantologia?
Le complicazioni sono molto poche e sono associate all’atto chirurgico. È necessario avere alta preparazione, conoscere nel dettaglio l’anatomia del cavo orale, ma sono tutti elementi non dipendenti direttamente dall’implantologia in sé.
Molti pazienti si chiedono spesso cosa sia il rigetto, ovvero se è possibile che l’impianto, invece di integrarsi all’interno del paziente, venga percepito come un corpo estraneo e non si integri fino a essere addirittura espulso.
Il rigetto, in realtà, non esiste. Si tratta piuttosto di una guarigione che non avviene in modo corretto. Questo aspetto è spesso associato a interventi chirurgici non del tutto adeguati.
Una complicanza, diciamo tardiva, che tutti i pazienti dovrebbero conoscere, di questo trattamento è la perimplantite.
Come tutti i denti naturali possono ammalarsi di parodontite, anche gli impianti si ammalano e possono perdere l’osso e la gengiva che li sostiene.
Un tempo si pensava che gli impianti fossero per tutta la vita. Addirittura tra il 2000 e il 2010 c’è stata un’esplosione del trattamento implantare che ha portato molti dentisti a estrarre i denti con qualche problema parodontale, per trattare la malattia e inserire gli impianti.
Tale approccio si è rivelato un errore gravissimo, perché i pazienti affetti da malattia parodontale hanno sviluppato molto più facilmente problemi di perimplantite.
Che rapporti ci sono tra parodontologia e implantologia?
La parodontologia ha iniziato il suo sviluppo in termini di ricerca scientifica negli anni ‘60, ‘70 ed è diventata la branca più scientifica dell’odontoiatria. Si basa, infatti, su studi clinici dei quali è possibile valutare i risultati attraverso il metodo scientifico.
Questo non è stato altrettanto vero per l’implantologia, almeno fino a diversi anni fa.
C’è un gap di circa vent’anni tra la ricerca nel campo della parodontologia e dell’implantologia.
L’aspetto interessante è che ciò che abbiamo imparato in parodontologia è stato applicato all’implantologia, sia nella diagnosi che nella conoscenza delle malattie che possono colpire i nostri impianti.
Lo sviluppo della malattia e le cause di queste malattie – parodontite e perimplantite – sono molto simili.
L’unica grande differenza, da tenere sempre in considerazione è nel trattamento degli impianti
Oggi esistono dei protocolli, con risultati anche a lungo termine, per trattare la malattia parodontale permettendoci di salvare i denti anche con lesioni molto gravi. Purtroppo non è altresì vero per quanto riguarda il trattamento delle lesioni associate agli impianti.
Il trattamento della perimplantite è ancora in fase di studio. Sappiamo cosa fare, ma non sappiamo quanto efficaci o quanto duraturi siano i risultati.
La sfida odierna è proprio sviluppare una serie di strumenti per essere ancor più efficaci.