Un percorso durato più di 45 anni e che prosegue ancora oggi, quello dello studio dentistico Vignoletti.
La scelta di promuovere la prevenzione, di affidarsi alle tecniche più moderne e alla qualità dei materiali ha reso lo studio un’eccellenza del settore.
Ma il vero motore dietro ogni risultato è sempre stato la persona, anzi le persone. A partire dal dottor Gianfranco Vignoletti, che ha dato vita allo studio, fino ad arrivare ai giorni nostri con la gestione del dottor Fabio Vignoletti.
Padre e figlio si raccontano – e raccontano lo studio – in un’intervista a due voci. Ascoltiamo le parole di Gianfranco Vignoletti.
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Gianfranco, com’è iniziato il tuo percorso nell’odontoiatria a Verona?
Sono venuto a Verona con mia moglie nel 1974. A quei tempi ero un assistente ospedaliere. Lavoravo nell’ospedale di Borgo Roma. Il mio capo era professor Grotte e il suo aiuto era il dottor Fraccari.
Loro erano chirurghi, per cui passavano tutto il tempo in sala operatoria, mentre io ero l’odontoiatra che doveva gestire tutto il reparto.
L’ospedale lavorava in un contesto universitario?
Sì, era un contesto universitario. Eravamo legati all’università di Verona, in pratica eravamo una costola dell’Università di Padova.
Un giorno alla settimana, era presente anche il dottor Zemella. Lui non era di Verona e aveva una borsa di studio. Seguiva alcuni pazienti, in particolare quelli con problemi alle gengive.
Quando è nato il tuo primo studio odontoiatrico?
Nel 1976, con il Dottor Zemella abbiamo aperto uno studio odontoiatrico. Eravamo in Vicolo Volto San Luca. Si trattava di un appartamento con due stanze, con due poltrone. Avevamo un radiografico, una sviluppatrice automatica.
Lavoravamo la mattina nel reparto in ospedale e al pomeriggio in questo studio privato. Così è iniziata l’attività privata ed è andata avanti in questo modo fino al 1980.
Come ha contribuito l’esperienza in America alla crescita dello studio dentistico?
Quando ero all’università mi occupavo anche di organizzare convegni e tutti i relatori erano sempre americani. Volevo essere all’altezza di questi colleghi di oltreoceano e ho deciso di andare a Boston.
L’Università negli Stati Uniti è totalmente diversa da quella italiana. Il sistema è estremamente meritocratico. Quindi gli insegnanti erano eccellenti perché restavano sempre i migliori.
Ho imparato tante tante cose.
Completato il percorso alla Boston University, ho frequentato la scuola di Langeland a Farrington. Langeland era un istologo incredibile e con lui ho imparato l’istologia.
Ricordo che andavo in reparto alle 08:00 del mattino e lui era già lì davanti al microscopio. Metteva i vetrini e mi insegnava a riconoscere tutte le cellule dentali.
C’era anche uno stabulario e scimmie e scimpanzé per la ricerca medica; quel che restava veniva usato in un secondo momento per la ricerca odontoiatrica.
Il ritorno in Italia: com’è cambiato il modo di fare odontoiatria?
L’esperienza in America mi ha cambiato la vita. Rientrato in Italia, ho comprato subito un microscopio e ho continuato a studiare i vetrini e i preparati istologici.
Avevo la fortuna di conoscere Nicola Perrini, che è sicuramente tra i migliori esperti in istologia dentale in Europa. Con lui ho continuato a imparare; abbiamo fatto delle ricerche assieme.
Come è riuscito a crescere lo studio Vignoletti?
Quello che ha fatto crescere tantissimo lo studio è stato l’introduzione di una cartella clinica dettagliata. Tutto quello che i pazienti avevano veniva scritto in questa cartella.
Ciò ha consentito di seguire nel tempo quello che io proponevo e valutare se era giusto o se era sbagliato.
Così ho capito che la maggior parte dei dentisti erano troppo invasivi; che un’infinità di trattamenti erano assolutamente inutili.
Però la mia fortuna è stata quella di essere curioso, di voler vedere con i miei occhi quello che succedeva in tutti i vari ambiti dell’odontoiatria.
Quindi facevo ricerca inventandomi dei mezzi che non esistevano; ho progettato anche tanti strumenti, alcuni dei quali sono ancora in uso.